domenica 1 maggio 2011

Il giudice ordina, ma il Comune...

MILANO – «Il Giudice ordina al Comune di Milano»: eppure il Comune non esegue. Anche se il giudice ordina qualcosa di tutt’altro che strampalato: rimuovere gli ostacoli di ogni genere che trasformano un tratto di strada del pieno centro della città in un percorso impossibile per gli invalidi. Togliere cestini, mettere scivoli, allungare i tempi dei semafori: questi gli ordini che il giudice Paola Gandolfi aveva emesso l’anno scorso, dopo che un perito nominato dallo stesso giudice aveva minuziosamente esplorato tutti i percorsi possibili per arrivare da piazza Paolo Ferrari a piazza della Scala muovendosi su una carrozzina a rotelle. È lo stesso percorso che ogni giorno, più volte al giorno, deve compiere un uomo inchiodato sulla sedia da una frattura mielica. Da quindici anni l’uomo paralizzato spiega, propone, rivendica. Gli danno tutti ragione, ma non succede niente. Alla fine, il signor C. ha deciso di rivolgersi alla magistratura, chiedendo al tribunale non solo di risarcirgli i danni, ma anche di costringere il Comune a eseguire i pochi, semplici lavori necessari a poter compiere il tragitto senza impiantarsi, ribaltarsi, finire sotto un furgone.
Il giudice Gandolfi ha nominato un perito. E la consulenza depositata alla perizia è un piccolo trattato di disordine metropolitano. Il consulente tenta tre strade diverse per compiere le poche decine di metri che separano le due piazze. Ma non c’è niente da fare. Se si gira da via San Dalmazio, primo ostacolo: «Un cestino portarifiuti ancorato al terreno e un cartello per la segnaletica stradale». E subito dopo, in passaggio Malagodi, un «marciapiede di 17 centimetri privo di scivolo di raccordo tra marciapiede e strada».
Il perito, come prima di lui il signor C., non si arrende. Prova di qua, prova di là, ma la storia non cambia: marciapiedi alti una spanna, binari sconnessi, cartelli, dissuasori, pavè maltenuto, motorini, scooter, biciclette parcheggiati dove capita. E quando finalmente si arriva all’incrocio, un semaforo dai tempi ghigliottina: «il segnale verde ha una durata che non consente il tempo necessario all’attraversamento neanche alle persone con una mobilità normale», si legge nella consulenza.
Di fronte alla perizia, al giudice restano pochi dubbi sul da farsi. Condanna il Comune per avere discriminato il signor C.: «la nozione di discriminazione – argomenta la dottoressa Gandolfi nella sentenza – si riferisce tanto a quella diretta quanto a quella indiretta, cioè a quei criteri, prassi, atti, patti o comportamenti apparentemente neutri che mettono una persona disabile in condizione di svantaggio rispetto ai soggetti abili, mantenendo una barriera al pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Molto spesso non sono il comportamento o la prassi a creare lo svantaggio, ma il fatto che non sia prevista una diversità di trattamento a favore dei disabili».
Per questo il Comune viene condannato a risarcire venticinquemila euro al signor C., e soprattutto a risolvere finalmente il problema, «con le modalità che l’amministrazione riterrà più opportune: ad esempio eliminazione o spostamento di manufatti non essenziali ancorati al suolo, regolazione dei tempi semaforici per gli attraversamenti, divieto di sosta per motoveicoli sui marciapiedi e relativo controllo, sistemazione della agibilità degli scivoli».
Il giudice dà al Comune tre mesi di tempo. Invece l’avvocatura di Palazzo Marino fa appello, spiega che intorno a piazza Scala ci sono marciapiedi del Settecento e dell’Ottocento vincolati alla Sovrintendenza. Ma il 9 dicembre anche il tribunale (pur riducendo a diecimila euro il risarcimento per l’invalido) ribadisce: i lavori devono essere fatti. Ma continua a non succedere niente. Gli ostacoli rimangono dove sono, il signor C. continua a dover affrontare ogni giorno il suo percorso di guerra. Qualche giorno fa, il suo difensore Carlo Verticale riparte all’attacco e scrive all’Avvocatura comunale chiedendo sia di versare il risarcimento che di eseguire finalmente i lavori ordinati dal tribunale. Ancora silenzio. Dalla prima protesta del signor C. sono passati quasi quindici anni.
di Luca Fazzo
(www.ilgiornale.it)